Kings Canyon

Kings Canyon ven 3 sett. “Oggi è il primo giorno di primavera!” commenta garrula la ragazza della Herz mentre scrivo ad alta voce la data sul modulo. E’ vero, per l’Australia comincia the Springtime. La mia auto di oggi ha una targa che non si dimentica: OHX 888.E’ una Ford R6 color candy, quel rosso ciliegia che fa tanto caramella e che la Harley Davidson ha chiamato appunto candy. I primi metri li faccio tranquillo, i primi km più spigliato. Dopo i 20 già faccio rombare il motore e soprattutto applico il saluto alla Northern Territories: alzi una mano dal volante incrociando le auto in senso opposto. Tutti salutano, basta un cenno, un’alzata di dito. E ti senti parte di una comunità, di un gruppo, del Genere Umano. Ci sono poche auto e si può fare qui, non certo nel traffico di una strada di milano. Ma è bello salutare ed essere ricambiati. Mi piace e lo faccio sistematicamente. Dopo circa 20 saluti e duecento km dopo, l’adrenalina da avventura comincia a venire meno. La strada è sempre uguale e la faccenda si sta facendo noiosa. A ravvivare l’atmosfera c’è un grosso incendio che sprigiona nuvole di fumo tali da oscurare il sole. Corre ai due lati della strada, ma a bruciare è solo l’erba secca cresciuta a dismisura dopo un’annata di piogge abbondanti. I fuochi sono controllati, ma non vedo nessuno intorno. Mi fermo a distanza di sicurezza per osservare dove il fuoco è passato. Gli alberi sono intatti e anche i cespugli di acacia in fiore. Sono bruciati gli alberi e i cespugli secchi. Si sentono sfrigolii vari e schioppi, qui è là si alza un filo di fumo. Devono essere così i campi di battaglia, stesso odore intenso e lamenti dei feriti. Arrivo alla King’s Creek Station, dove si può cavalcare un cammello o un cavallo, fare un giro in quad, mangiare un boccone e fare un volo panoramico in elicottero. Oltre a fare il pieno di benzina ovviamente. Le roadhouses sono un luogo di incontro di viaggiatori, dove si può mangiare una fantastica torta all’arancia e fermare a fare 4 chiacchiere con gli altri. Appena oltre la station c’è la deviazione per il Kings Canyon Wilderness Lodge. Mi devo aprire il cancello e richiuderlo alle spalle. E dopo un paio di km di sterrato mi accoglie Karen. Ho una tenda con il pavimento in legno. E’ di design, senza armadi ma con un letto grande e comodo. Un paio di poltroncine in midollino, aria condizionata. E un bagno bellissimo e ben illuminato con doccia col padellone e una lampada riscaldante. l lodge è costituito da una decina di tende e ciascuna è intitolata ad un personaggio australiano. A me tocca Len Tuin, un ragazzo intraprendente che ha cominciato trasportando frutta, poi la posta e infine turisti verso le mete come Uluru. Un pioniere del turismo che si è ritirato dal business nel 74. Con la moglie è andato a vivere nel Queensland, sulla Golden Coast. Un giorno hanno ritrovato la barca su cui era andato a pescare rovesciata. Una bella fine per un viaggiatore.
Il lodge tenta di essere a minor impatto ambientale possibile: ha una mezza dozzina di grandi pannelli solari he coprono per il 60% il fabbisogno elettrico. Ma per far girare l’aria condizionata ci vuole un generatore diesel.
Al Kings Canyon mi accompagna Rowan, che come molte donne del bush australiano ha un viso interessante, gli occhi chiari e un corpo da uomo. Rowan mi ha portato con il 4wd fino ad un punto panoramico per rendermi conto della proprietà: 180.000 km quadrati, che appartengono ad una famiglia aborigena. Esportano cammelli. Qui i cammelli nascono e prolificano, solo loro potrebbero vivere in un ambiente così estremo. Hanno calcolato che nella zona di Kings Creek sono almeno 10.000. E in tutta l’Australia sono oltre un milione e mezzo e sono diventati un grosso problema per il governo. Si dovrebbero catturare e vendere sui mercati dove la carne di cammello è richiesta, in Africa e Medio Oriente. Ma non è così semplice. l Kings Canyon è una gola profonda un’ottantina di metri dove confluiscono tutti i torrenti effimeri creati dalle piogge nel deserto. Un laghetto stretto tra alte pareti di roccia rossa è il centro dell’escursione. Attorno nella fessura crescono palme e alberi di eucalipto. La palma che cresce qui è come quella che ho a casa, punge e non è endemica. Ci sono piante maschio e piante femmina e c’è un insetto che vive all’interno della pianta maschio. Quando arriva la stagione dell’impollinatura, l’insetto si carina bene di polline e va intorno a visitare le parti più intime delle piante femmina.

Rowan mi accompagna con una nuova Toyota Land Cruiser. Breakfast alle 6 e via alle 6.30. Il sole sorge alle 7 quando arriviamo a destinazione. Ci sono già degli autobus e dei pulmini. La prima parte dell’ascesa è dura: una scalinata molto ben realizzata nella roccia, quasi non ti accorgi che c’è la mano dell’uomo. A dire il vero la composizione delle pareti è tale che sembra tutta una gradinata. Rowan è mezza scozzese da parte di padre e tedesca da parte di madre. Non è mai stata in Europa, lei faceva la guida nel Kimberly. E quando le hanno proposto di venire al Kings Canyon perchè c’era un posto libero ha subito accettato. Uno spirito nomade, I’m a gipsy, dice di sé.

La scorsa settimana ha fatto il percorso completo del King Canyon, 22 km con pernottamento sotto le stelle in sacco a pelo. E i serpenti? Siamo stati sfortunati, dice, non ne abbiamo visti. L’aria è frizzante salendo ma una volta su il sole è sufficientemente alto da cominciare a scaldare per benino. La camminata è per tutti. Davanti a noi la guida del gruppo è una ragazza con i capelli da rasta che ha fatto il pieno di acqua alla fontanella all’ingresso del parco. Ecco la differenza con noi turisti: l’acqua è a disposizione, anche al bar del Wilderness Lodge. E’ buona e fresca, ma non ci fidiamo e preferiamo comprare bottiglie sigillate a prezzi pazzeschi, quando basterebbe usare la bottiglia come borraccia e rifare il pieno.

Ritorno a Uluru, ancora un barbie stasera e domani via per Adelaide, South Australia.

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